Di corsa, di notte, a passo di danza. Santarcangelo 2016

La notte

È volato, il Festival di Santarcangelo, e però dal primo spettacolo mi sembra sia passato un mese. Ho visto diverse cose, non sono sicura di ricordarle tutte. Sono sicura di avere ascoltato molta musica e di aver fatto spesso tardi. So che c’è stato uno spettacolo diverso da tutti, il più bello, per me. E che, come mi pare non accadesse da un po’ (ma è una percezione soggettiva), ci fosse un’aria comune, da cercare, magari da rincorrere da un posto all’altro, di festa grande, di luci e buio e suoni e gente, tutta insieme. Io che amavo il Circo Inferno Cabaret, in quegli anni, le sue lucine calde e le musiche etniche (ma erano gli anni da volontaria, non vale), non è, in ogni caso, che mi senta immediatamente a casa nelle luci fredde da discoteca, nel rituale del ballo, quel ballo, nei ritmi catartici, ripetitivi, colonna sonora e sostanza di questo Festival. Eppure non poteva non attrarre, e pur mantenendo un filo di distanza mi è piaciuto, e molto. E mi è parso ci sia stato un grande sforzo, e un saluto in grande stile da parte di Silvia Bottiroli, che ha concluso i suoi anni di direzione artistica.

Lumen
Lumen – Ph. diane – Ilaria Scarpa_Luca Telleschi

Fin dal principio, con un inizio potente: le donne-corvo di Bouchra Ouizguen, coreografa marocchina, sul tetto del Supercinema, con quel movimento della testa ipnotico, un grido di liberazione dalla pancia, e il fuoco e le musiche sciamaniche di Luigi De Angelis ed Emanuele Wiltsch Barberio, Lumen, nello Sferisterio, e poi, qualche giorno dopo, di nuovo alla ex-cava del Lago Azzurro, e l’Ascesa all’Olimpo di Zapruder, versione teatrale della Cuccagna, questa volta con una band metal che incitava gli atleti all’arrampicata frenetica sul palo piantato nel mezzo del parco, di cui sono riuscita a vedere solo la fine, peccato. In più, c’era da viaggiare. Io che qui ci sono cresciuta mi sono trovata in posti che mai avevo veramente visto, o considerato, o notato da quel punto di vista: l’utilizzo degli spazi è stato capillare, attento, straordinario.

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Tell me love is real il primo spettacolo vero e proprio, il newyorkese Zachary Oberzan che recita e canta e illustra divertito e divertente e sereno il suo tracollo psicologico e il tentativo di suicidio con un’intera confezione di Xanax, al quale è evidentemente sopravvissuto, a differenza di Whitney Houston, parlandoci con tranquillità di elettroshock, interrogandosi sulla natura delle relazioni, chiedendo a noi spettatori di affermare che l’amore è reale (che razza di pretese, Zachary). Oberzan che io ringrazio per la sua meravigliosa pronuncia, così perfetta e ben scandita e chiara, senza una sola sillaba mangiata, cosicché è impossibile non cogliere qualcosa (e poi ci si trova a pensare Vedi quanto lo so bene, l’inglese: ho capito tutto, tutto), e per quella leggerezza bella delle cose profonde raccontate con intelligenza, e per il karaoke: Je t’aime moi non plus di Serge Gainsbourg da cantare così, la parte dell’uomo, in azzurro, lui, la parte sospirosa della donna, che si colora in rosa, il pubblico. Che ha cantato, eccome (e poi ci si trova a pensare Alla fine l’ho poi pure imparato un po’ di francese, guarda).

Zachary Oberzan
Tell me love is real – Ph. diane – Ilaria Scarpa_Luca Telleschi

Le talpone di Philippe Quesne, La nuit des taupes, mi hanno un po’ inquietato ma non entusiasmato, nonostante l’idea interessante di mostrare, così com’è, la vita sotterranea di questi animali che scavano, mangiano, scivolano, si riproducono, suonano, come una società ben organizzata dunque, e la scenografia grandiosa con stalattiti e stalagmiti, pietre e vermi, giganti anche loro. Bello, asciutto, nello stesso spazio dell’Itse Molari, Hearing di Amir Reza Koohestani, la visione di uno spaccato iraniano, il dormitorio di un’università femminile dove qualcuno sente la voce di un uomo: quattro attrici, dialoghi intrecciati che fanno perdere il senso di cosa sia reale o meno, un paio di telecamere in una scena vuota e buia; pochi, perfetti elementi che raccontano tanto sulle limitazioni di una società, sul peso che infligge alle donne. Nella stessa palestra, allestita ad accampamento, ho visto Natten di Mårten Spångberg, uno spettacolo che dura dalle 23 fino alle 8 del mattino seguente: movimenti lenti, musica rilassante, stesi a terra sulle coperte. Era tardi, era buio, era l’ultimo giorno, ero molto stanca e dopo due orette mi sono addormentata. Che andava bene, era previsto, però poi in un momento di risveglio ho deciso di abbandonare in favore del letto, anche se un po’ mi è dispiaciuto.

Michele Rizzo
Higher – Ph diane – Ilaria Scarpa_Luca Telleschi
Teorema
Teorema – Ph diane – Ilaria Scarpa_Luca Telleschi

Ma prima, di nuovo danza e clubbing: Higher di Michele Rizzo, ancora qualcosa che non avrei pensato potesse coinvolgermi e invece sì, il buio, le luci che si accendono ritmicamente, un poco per volta, il suono che si riempie gradualmente insieme ai passi dei tre danzatori che si fanno anch’essi più pieni, più convinti, mentre il caldo dentro il capannone del Centro Teorema diventa sempre più opprimente eppure resistiamo, che in fondo è normale, in una discoteca. Fuori, nel parcheggio coperto di questo centro commerciale in una zona di passaggio, una rotonda che si attraversa per uscire dal paese, vanno in scena due dopofestival (che quest’anno transitano in luoghi diversi), e il confine, com’è voluto, tra lo spettacolo e il ballo che ne segue, è quasi invisibile, mentre Villa Torlonia, maestosa, ne ospita un altro, a cura di Motus e Markus Öhrn, un’impalcatura al centro del cortile interno con le casse a 360 gradi e sotto, le cantine, con un’attrazione irresistibile, il toro meccanico, che si pensa possa essere quasi facile riuscire a restare in sella, e invece.

Sicuramente ho dimenticato qualcosa, o molto. Un’ultima cosa, però, la ricordo. Durante lo spettacolo che per me è stato il più bello, camminando, ormai stanchi, a fianco del fiume Marecchia, una ragazza bionda mi si è avvicinata e mi ha fatto molte domande, aguzzando l’attenzione quando ha saputo che sono di Santarcangelo. Voleva sapere com’era il Festival dieci, quindici anni fa, voleva sapere soprattutto come lo vivono gli abitanti del paese. I cittadini, ha detto. Cosa ne pensano, loro? Era una ragazza di Helsinki. Qualche giorno dopo, la notizia: sarà la nuova direttrice artistica. E sono stata rimasta così colpita, e contenta. Io ho avuto qualche difficoltà a rispondere, su cosa ne pensano i cittadini, del Festival, perché molto è stato fatto, ma per molti è ancora lontano. Forse lo è sempre stato, forse non ha alcun senso pensare che possa essere per tutti. Potrebbe non essere necessariamente un bene, penso ora. Raccolgo le impressioni poco convinte, talvolta sarcastiche, di amici che, normalmente, il teatro non lo seguono. Di persone dell’età dei miei genitori che hanno smesso di andare a vedere alcuni spettacoli per ragioni logistiche, più che altro. Non lo so, diverse volte mi sono sentita distante anch’io. Di questo Festival, però, ne avrei voluto ancora. E la spontaneità, e la curiosità di Eva Neklyaeva, mi fanno pensare positivo.

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Ph diane – Ilaria Scarpa_Luca Telleschi